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L’Audi dei balocchi.

Milano, mi ha accolto in tangenziale con pioggia e traffico. Per evitarlo abbiamo scelto, col mio capo, di cenare fuori.

Parto dalla fine perché dell’inizio vorrei parlare con calma per via delle emozioni contrastanti che mi ha regalato.

Siamo arrivati fuori Teramo nel pomeriggio di ieri. Fatto il check-in e ricevuto il pass per accedere nell’industria siamo saliti al piano in cui ci aspettavano. Dovevamo montare ed avviare quel sistema su cui ho lavorato in queste settimane. Bello, divertente. Ero già – dentro me – al settimo cielo per la sola possibilità di metter piede in quei locali con la borsa da lavoro bloccata sul manico della mia trolley. Poi si è aperto un mondo che non conoscevo e mi ha impressionato.

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Ingresso albergo

A fine giornata lavorativa un dipendente dell’azienda mi ha accompagnato in albergo. Lì avevo una stanza già prenotata a mio nome e cena e colazione pagate. Son cresciuto in un mondo acqua e sapone e così ritrovarmi in quella camera mi scombussolava non poco. Da bravo scout (ah, maledetta deviazione…) avevo portato con me la tovaglia per la faccia: nel bagno in camera ho trovato sei tovaglie bianche, riscaldate dal termosifone per teli. Il bagno in camera. Io. E poi perché sei tovaglie? Neanche a casa so usarle sei tovaglie.

C’era anche la tv, il telefono e il frigo bar dove ho dormito. Da un lato dell’albergo vedevo il Gran Sasso innevato, dall’altro, oltre la piscina, una distesa di campi arati a dovere.

Alle 19 ero morto di sonno, il capo era ripartito per Roma e io ne ho approfittato per crollare sul letto prima di scendere per la cena.

Alle 20, un po’ intimorito entro in quella grande sala. Mi attende un cameriere che mi invita a prender posto. Chiedo un menù. Sono abituato, non per tirchieria ma per pura gestione del piccolo patrimonio a controllare i prezzi prima di ordinare. Non c’è menù e mi si invita ad accettare qualche consiglio. Pesce. Ieri sera andava il pesce.

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Cena al ristorante

Ho mangiato pesce, da solo, su un tavolo rettangolare, dove all’inizio son stati lasciati sei piatti con antipasti diversi. Cozze, lumache di mare, un’ostrica, sardine, pezzettini di qualche pesce bianco che non saprei riconoscere presentati con dei frutti (bacche?) rossi sopra. Era solo l’inizio però. I piatti si son succeduti con un ritmo che quasi mi lasciava senza fiato. Ne svuotavo uno e accanto avevo già l’altro. Avevo ordinato l’Adriatico a mia insaputa?

Io. A cena in quel ristornate. Non sapendo quanto avrei speso all’inizio avevo rifiutato persino un bicchiere di vino “no, solo acqua, grazie!”. Sia mai che se ordino il vino arriva l’intera cantina…

Dopo un po’ arriva a cena, con la famiglia, uno dei dirigenti di quell’industria. L’avevo intravisto nel pomeriggio e mi viene a salutare. “Buona cena”. “Altrettanto!”.

Mi sentivo catapultato in qualcosa di strano, qualcosa che ancora mi lascia perplesso ma so che ammalia terribilmente allo stesso tempo. Ero sazio, chiedo il conto ma non va bene: mi si obbliga ad assaggiare i dolci della casa, accompagnati da un bicchierino di amaro. Inzuppo qualche biscotto nell’amaro, poi mi alzo sperando di non esser trattenuto ulteriormente.

Torno in camera, finisco di sistemare un po’ il software realizzato, visto che nel pomeriggio mi avevan chiesto qualche modifica e poi mi rannicchio sotto le coperte, in silenzio, guardando Paperissima in quella tv all’angolo della camera. Non riuscivo a prender sonno.

Da un lato ero felice e soprattutto orgoglioso dell’esperienza unica che stavo vivendo, dall’altro avevo una paura – stupida – di perdere ciò che sono. Quello scout, idiota, che spara minchiate con gli amici, che si diverte e ama rotolarsi su un prato, che sente la distanza dal proprio gruppo proprio durante i preparativi per la veglia di Natale. Avrei dovuto chiuder gli occhi subito ma mi era chiarissimo che – in realtà – il vero compito era (e sarà) tenerli aperti.

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Emanuele seduto fuori

Alle 8 del mattino ero seduto fuori come vedete nella foto ed avevo già fatto una doccia, ero stato giù a far colazione con la cameriera che, mentre mangiavo da bravo una banana presa dal buffet centrale, è corsa da me chiedendomi “cosa posso portarle?”. Stavo già facendo colazione! Cosa dovrebbe portarmi? Nella mia mente la reazione è stata questa. Ho chiesto solo un caffé, non sapevo immaginare altro. Alle 8 e 20 arriva un dipendente dell’industria farmaceutica con cui avevo preso accordi la sera prima per ritornare da loro.

Ho pranzato da Spizzico, in autostrada verso Milano prendendo persino la macedonia di cui non so neanche il prezzo. Ho cenato da Road House Beef dietro Linate. Ho bevuto addirittura una spremuta d’arancia (mica la Fanta!) in autogrill a metà strada. Quando mai spendere 2 euro e 50 per un bicchiere d’arancia.

Non ho pagato nulla. Nulla di nulla.

Mi fa totalmente impressione questa cosa e in realtà, mi sento anche uno stupido ad esser felice-ma-non-del-tutto. Ci sarà, veramente, da rimanere coi piedi per terra e mi chiedo come mai Dio abbia scelto per me proprio questo settore lavorativo come prima esperienza.

Non voglio cambiare. Se proprio questa vita sarà, voglio rimanere quel tipo idiota che prende il monociclo e si diverte a regalar sorrisi. Di tipi idioti che giocano a fare i ricconi in giro per le città ne è pieno il mondo. Probabilmente che fosse la mia prima trasferta s’è notato perché ero il triplo più gentile con chiunque. Però voglio che rimanga così. O che diventi il quadruplo magari.

Dove mi porterà questa strada? Ne ho fatta tanta negli ultimi anni, mia madre dice che tutto questo è merito dei denti che ho stretto (e so di averlo fatto per svariati motivi…) e della tenacia che ho avuto. L’orgoglio più grande, alla fine, è che il capo s’è sentito tranquillo di lasciarmi in trasferta da solo dopo appena 12 giorni di lavoro in azienda. Solitamente, che io sappia, accade molto ma molto più avanti. Probabilmente il lavoro era semplice ma sono sicuro che la mia determinazione di questo periodo abbia influito parimenti.

Adesso sono nuovamente con una felpa e i pantaloni del pigiama, seduto sul letto di mia sorella, che riguardo le foto di questi due giorni e penso a ciò che sarà. Non voglio sputare nel piatto in cui mangio. Sono stati due giorni bellissimi anche perché rapportarsi coi clienti è qualcosa che mi farà crescere tantissimo, semplicemente non voglio dimenticare le mie radici e spero che questo inizio spumeggiante sia servito a ricordarmelo.

Emanuele


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